REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MONZA
SECONDA SEZIONE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. C C ha pronunciato la seguente

sentenzanella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 00/2010 promossa da: C C (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. B F, elettivamente domiciliato in …

parte attrice e contro

L… S.N.C. (C.F.), G L (C.F.), R L (C.F. ), tutti con il patrocinio dell’avv. P D elettivamente domiciliati in

e contro

IMMOBILIARE P. s.r.l. (P.I. ), con il patrocinio dell’avv. C G, elettivamente domiciliato in

CONCLUSIONI
Le parti all’ udienza di precisazione delle conclusioni hanno concluso come da fogli allegati in forma cartacea al fascicolo d’ufficio, che vengono di seguito riportati.

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decision

Il sig.C C ha convenuto in giudizio la società L. s.n.c. ed i soci personalmente responsabili, quali promittenti venditori dell’immobile di loro proprietà sito in Meda …., , nonché la società Immobiliare s.r.l. quale intermediaria. Parte attrice ha chiesto la risoluzione del contratto preliminare di compravendita, per essere l’immobile oggetto della stessa gravato di procedura esecutiva la cui esistenza non era stata comunicata al promissario acquirente né dal venditore né dall’agente. Ha quindi chiesto al promittente venditore la restituzione del doppio della caparra ed all’agente la restituzione della provvigione corrisposta oltre che, nei confronti di entrambe, la condanna al risarcimento dei danni anche non patrimoniali. Si sono costituiti in giudizio entrambe i convenuti, chiedendo il rigetto delle domande nei propri confronti.

Sull’immobile de quo è stato iscritto pignoramento in data 11 giugno 2009. La visura consegnata alla Immobiliare era datata 19 marzo 2009 e non recava pertanto traccia del pignoramento. Al pignoramento è succeduta procedura esecutiva immobiliare rubricata RGE /09, presso il Tribunale di Monza, nella quale oltre al creditore procedente A.B. è intervenuta anche la Società C…… s.c.p.a. , quale mandataria dell’Istituto di credito mutuante B. Il decreto di fissazione di udienza ex art.569 c.p.c. è del 19 gennaio 2010, con fissazione della udienza per il 3 giugno 2010. L’ordinanza nomina anche un esperto per la valutazione del compendio (doc.3 fascicolo L ). Il 28 aprile 2010 è stata inviata a L R e G la dichiarazione di nomina di custode giudiziario da parte del dott. F (doc.4). Il credito per il quale è stata iniziata la procedura era molto ridotto rispetto al valore dell’immobile (€4.033,08) oltre a spese della procedura esecutiva, ma l’instaurarsi della procedura ha dato luogo all’intervento della società … Crediti, per un credito più consistente, garantito da ipoteca. Quest’ultima ha inviato in data 25 marzo 2010 alla signora L G dichiarazione di disponibilità a rinunziare agli atti esecutivi a fronte del pagamento della somma di €100.000,00 entro e non oltre il 28 maggio 2010 (doc.5). Ha rinunziato all’intervento svolto nel procedimento esecutivo sopra indicato in data 6 maggio 2010, a fronte del pagamento di soli €5.000,00 (doc.2 parte L). L’istituto di credito mutuante, come risulta dal tenore della missiva sopracitata, aveva proposto analogo componimento già in data 6 novembre 2009, quindi in data anteriore anche all’accettazione della proposta irrevocabile di acquisto da parte del sig.C, intervenuta in data 11 marzo 2010.

La dichiarazione della estinzione della procedura ed il relativo ordine di cancellazione della trascrizione del pignoramento immobiliare sono datate 8 luglio 2010. E’ quindi evidente la conoscenza del pignoramento e della procedura esecutiva da parte del venditore prima dell’impegno assunto con l’odierno attore. Infatti la proposta irrevocabile di acquisto è datata 1 marzo 2010 (prodotta da parte attrice sub doc.2), e contiene il termine del 28 maggio 2010 per la stipula del definitivo, il contestuale pagamento della somma di €3.000,00 a titolo di caparra confirmatoria ai sensi dell’art.1385 c.c., con impegno a corrispondere ulteriori €10.000,00 al medesimo titolo entro il 20 marzo 2010. Non corrisponde al vero quanto dichiarato nell’atto, che l’immobile “non è gravato da oneri, pesi, liti in corso, pignoramenti, iscrizioni ipotecarie e trascrizioni pregiudizievoli” ad eccezione del mutuo contratto con C B, garantito da ipoteca.

Il promissario acquirente si è contestualmente impegnato a corrispondere all’agenzia una provvigione pari a €3.000,00 oltre IVA entro 10 giorni dall’accettazione della proposta d’acquisto. Successivamente a tali eventi e precisamente in data 31 marzo 2010, è stato stipulato contratto preliminare di compravendita, con scrittura privata (doc.3 parte attrice), ed ivi è ripetuto che l’unità immobiliare “sarà trasferita libera da pesi, vincoli di qualsiasi specie, trascrizioni pregiudizievoli, vizi ed evizioni, liti in corso…parte venditrice si obbliga a proprie cure e spese ad estinguere il mutuo acceso con l’istituto bancario C B ed a cancellarne la relativa ipoteca”, mentre era ancora pendente procedura esecutiva. Nel testo del preliminare viene dato atto del versamento e quietanza della somma complessiva di €13.000,00, espressamente qualificata come “a titolo di caparra confirmatoria ai sensi dell’art.1385 c.c.”. Sempre nel preliminare è indicato che il definitivo dovesse venire stipulato “entro e non oltre il termine tassativo del 28 maggio 2010”. Sulla essenzialità del termine, vi sono elementi nel senso di interpretare la clausola come indicativa di un interesse rilevante di parte promissaria acquirente ad ottenere la disponibilità dell’immobile entro il termine indicato. Innanzitutto la espressa indicazione, ulteriore rispetto alla clausola di stile di “entro e non oltre”, come “tassativo”.

Poi il comportamento delle parti successivo al contratto: il sig.C ha inviato in data 9 giugno 2010 lettera di sollecito alla conclusione del contratto di compravendita entro il 18 giugno 2010 , con avviso che in mancanza “agirò per vie legali” (doc.9 parte attrice). Non vi è prova di alcuna trasparenza da parte della promissaria venditrice, nemmeno di fronte alla messa in mora, circa i motivi del ritardo nel rogito, essendo ancora pendente la procedura di esecuzione immobiliare, la dichiarazione della estinzione della procedura ed il relativo ordine di cancellazione della trascrizione del pignoramento immobiliare sono infatti del successivo 8 luglio 2010. Deve quindi senz’altro venire accolta la domanda attorea di risoluzione del contratto preliminare di compravendita per fatto e colpa di parte venditrice, stante il suo inadempimento ai doveri di correttezza e buona fede contrattuale ex artt.1175c.c. e 1337 c.c. , per non avere informato il promissario acquirente di un fatto rilevante nella scelta se contrattare o meno. La risoluzione può essere pronunziata anche perché, sempre per fatto imputabile a parte venditrice, vale a dire la pendenza della procedura esecutiva, non si sia potuti addivenire al rogito nel termine prestabilito. La convenuta L snc ed i soci personalmente responsabili sono pertanto tenuti ai sensi dell’art.1385 c.c., alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata, oltre ad interessi e rivalutazione dalla data del versamento al saldo.

Sulle domande nei confronti dell’Agenzia Immobiliare:

L’agente a norma degli artt.1759c.c. è tenuto a comunicare alle parti ogni circostanza di rilievo da lui conosciuta, che possa influire sulla scelta se concludere o meno il negozio. La prova della conoscenza del pignoramento da parte dell’agente si può ritenere raggiunta, per alcuni elementi gravi, precisi e concordanti che sono emersi dalle dichiarazioni delle parti e nel corso dell’istruttoria. Le dichiarazioni di parte venditrice, che ha affermato la piena conoscenza del pignoramento da parte dell’agente sin dall’inizio, sono da valutarsi con prudenza, per essere la parte coinvolta. Tuttavia, avendo il venditore comunque un obbligo in proprio di comunicare circostanze di rilievo e di non dichiarare falsamente nel contratto l’inesistenza di vincoli o procedure, l’interesse a coinvolgere anche l’agenzia è piuttosto labile. Risulta dal documento di posta elettronica prodotto da parte L sub doc.5 e non contestato, nel quale il sig.C, legale rappresentante della società agente, il 6 maggio 2010 ha scritto a L: “attendo da più di tre settimane il documento da parte della Vs Banca che attesta la volontà di cancellare il pignoramento. ………….”.

Per cui almeno da aprile 2010 l’agenzia era a conoscenza del pignoramento. L’ipotizzata conoscenza in un momento successivo non è probabile, e comunque non ha indotto l’agenzia ad alcun cambiamento nel comportamento, nel senso che non ha avvisato il promissario acquirente ed anzi ha cercato di vincolarlo ancor più alla conclusione del contratto definitivo. Risulta infatti pacifico che, nonostante tale conoscenza, la agenzia convenuta abbia convocato le parti presso i propri uffici per il giorno 19 giugno 2010 allo scopo di consentire la previa immissione in possesso da parte del sig.C, perché lo stesso potesse dare corso ai lavori necessari prima di abitarlo. A tale incontro non ha partecipato l’odierno attore, previa comunicazione di proprio malessere. In altri termini, l’agenzia ed il promittente venditore volevano porre in essere una azione che avrebbe vincolato ancor più il promittente acquirente – ancora ignaro dell’esistenza di procedura esecutiva – alla conclusione dell’affare, a causa dell’impegno in tempo e liquidità implicito nella esecuzione di lavori conseguente all’anticipata presa di possesso. Risulta inoltre dalla testimonianza dell’a.B (creditore procedente nella nota procedura esecutiva a carico della convenuta) che ha riferito di “essere stato chiamato da un agente che mi chiedeva a che punto era la transazione tra me ed L, credo intorno al mese di marzo 2010” … “non avevamo transato” … “non conosco il nome dell’agente so che è di ……”. Infine a supporto della mancanza di imparzialità dell’agente è il noto fatto che quando il venditore è una società immobiliare, potendo fornire all’agente ulteriori occasioni professionali, ha un “peso” contrattuale maggiore rispetto al singolo acquirente non professionista. Non è contestato il versamento da parte dell’attore all’agente a titolo di provvigioni della somma di €3.000,00 oltre IVA pari a €3.600,00 complessive, come da fattura prodotta da parte attrice sub doc.4, con indicazione di pagato. Merita quindi accoglimento anche la domanda di restituzione della somma corrisposta all’agente a titolo di provvigioni, oltre a interessi e rivalutazione dal 1 aprile 2010 (data del suo versamento) al saldo effettivo.

Sulla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale

L’esiguità del debito principale, il suo saldo, la transazione intervenuta con il creditore intervenuto prima della scadenza del termine per la stipula del definitivo conducono a ritenere sia pur sussistente un dolo civilistico, o perlomeno una colpa grave, non sussistere gli estremi della truffa. Per cui non sono risarcibili i danni non patrimoniali, non essendo leso un diritto di rilievo costituzionale. Sussiste invece, in capo al promittente venditore, una responsabilità ex art.96 c.p.c., per avere resistito in giudizio in mala fede, trattenendo la caparra versata e mantenendo in essere il vincolo contrattuale del contratto preliminare.

Ai sensi del novellato articolo 96 comma 3 c.p.c., “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Per espressa scelta normativa, la pronuncia può essere effettuata d’ufficio e non ha limite nella determinazione dell’importo della condanna, come invece vi era nell’art. 385 c.p.c. ora abrogato. Ad avviso di questo Giudice e come peraltro già precisato da autorevole Dottrina, inoltre, la pronuncia non abbisogna della preventiva instaurazione del contraddittorio ex art. 101 c.p.c., essendo posterius e non prius logico della decisione di merito (in questi termini cfr. anche Trib. Piacenza 15/11/2011 n. 855/2011 e ord. 22/11/2010; per la giurisprudenza di questo Tribunale, cfr. Trib. Reggio Emilia nn. 729/2012 e 712/2012). Tre sono invece le principali questioni sulle quali non si è formata un’univoca posizione interpretativa, e sono quelle relative alla natura della norma, al suo ambito di applicazione ed all’entità della condanna. In particolare, è discusso se, per procedere alla condanna ai sensi del terzo comma, sia o meno richiesta l’esistenza di un danno di controparte; se siano o meno richiesti i requisiti della lite temeraria di male fede e colpa grave, previsti dal primo comma dello stesso articolo 96; quali siano infine i parametri che devono guidare la discrezionalità del giudice nel quantificare l’importo della condanna.

Ciò posto, con riferimento alla prima tematica della natura della norma, questo Giudice, aderendo alla tesi già propugnata da parte della Dottrina e condivisa dalla quasi totalitaria maggioritaria giurisprudenza di merito, ritiene che l’articolo 96 comma 3 c.p.c. introduca nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema Giustizia deflazionando il contenzioso ingiustificato (cfr. Trib. Reggio Emilia nn. 729/2012 e 712/2012; Trib. Varese 23/2/2012; Trib. Piacenza 15/11/2011 n. 855/2011, 7/12/2010, ord. 22/11/2010; Trib. Milano ord. 29/8/2009. In questi esatti termini, sia pure come obiter dictum, anche Cass. n. 17902/2010, e, per la giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato n. 1209/2012). Risulta conseguentemente esclusa la necessità di un danno di controparte, pur se la condanna è stata prevista a favore della parte e non dello Stato, al probabile fine di rendere effettivo il recupero della somma e quindi l’afflittività della sanzione. Con riferimento invece alla tematica dell’elemento soggettivo richiesto in capo al destinatario della condanna, pare a questo Giudice che possa essere seguita la tesi più garantista, che postula comunque la presenza del requisito della malafede o della colpa grave, non già della sola colpa lieve od addirittura della mera soccombenza (così Trib. Piacenza 15/11/2011 n. 855/2011, 7/12/2010, ord. 22/11/2010; Trib. S Maria Capua a Vetere 26/9/2011; Trib. Reggio Emilia nn. 729/2012 e 712/2012).

Invero, pur essendo la questione oggettivamente opinabile, militano a favore di tale ricostruzione un argomento letterale ed uno logico-sistematico. In particolare, da una prima angolazione e sotto il profilo strettamente letterale, va osservato che la norma è stata introdotta come comma 3 del già esistente art. 96 c.p.c., dettato proprio in tema di lite temeraria in quanto connotata dall’avere agito con malafede o colpa grave; e tale inserimento nel medesimo articolo rende ragionevole ritenere che il requisito soggettivo del primo comma debba reggere anche la fattispecie del terzo comma. Da un punto di vista logico-sistematico, poi, la natura sanzionatoria della norma non può che presupporre, a pena di irrazionalità del sistema, un profilo di censura nel comportamento del destinatario della condanna, ciò che appunto deriva dal suo elemento soggettivo di dolo o colpa grave. La terza ed ultima problematica riguarda invece l’entità della sanzione monetaria, atteso che, come detto, la norma non prevede limiti edittali.

Probabilmente, la soluzione più ragionevole ed utile ad orientare la discrezionalità del giudice è quella che utilizza il parametro delle spese di lite. In particolare, il protocollo del Tribunale di Verona, forse attualmente il più noto a livello nazionale, si è orientato nell’individuare nella forbice tra il minimo di un quarto ed il massimo del doppio delle spese di lite (scelta quest’ultima che ricalca quella fatta dal Legislatore nell’ormai abrogato articolo 385 c.p.c. in tema di ricorso per Cassazione), l’entità della condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. Quanto al parametro che deve guidare la concreta scelta dell’ammontare, se si aderisce alla tesi, qui condivisa, della natura sanzionatoria della pronuncia, esso deve essere quello della gravità dell’abuso processuale. Infatti, gli altri parametri possibili – quali ad esempio il valore della controversia, la natura della prestazione e l’entità del danno, richiamati anche dall’art. 614 bis c.p.c. in tema di astreintes – paiono volti più alla quantificazione del danno che alla quantificazione di una sanzione. (Cfr. sentenza Tribunale Reggio Emilia, 25/9/2012, dalla cui ampia ed articolata motivazione si sono colti ampli stralci). Nella fattispecie in esame si ravvisano tutti i presupposti per la pronuncia ex art. 96 comma 3 c.p.c.

In particolare: – l’articolo 96 comma 3 c.p.c. è ratione temporis applicabile, posto che la causa è stata introdotta dopo l’entrata in vigore della L. n. 69/2009; – il dolo dell’attore è evidente, risultando documentalmente la pendenza di procedura esecutiva; – la misura appropriata appare essere ½ delle spese legali. Le spese legali seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, con inclusione delle spese generali nella misura del 15% del compenso totale per la prestazione. Vengono anche liquidate le spese generali, a norma della L.31 dicembre 2012 n. 247 nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, art.13 comma 10 secondo cui “Oltre al compenso per la prestazione professionale, all’avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente anticipati nell’interesse del cliente, una somma per il rimborso delle spese forfetarie, la cui misura massima è determinata dal decreto di cui al comma 6, unitamente ai criteri di determinazione e documentazione delle spese vive”.

Visto il Decreto Ministero della Giustizia 10 marzo 2014 “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247”, Art. 2 , comma 2, secondo cui “Oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all’avvocato è dovuta – in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale – una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, fermo restando quanto previsto dai successivi articoli 5, 11 e 27 in materia di rimborso spese per trasferta”.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1. Dichiara la risoluzione del contratto preliminare di compravendita stipulato fra il sig.C C e la L. s.n.c. in data 31 marzo 2010, per fatto e colpa di parte convenuta e per l’effetto condanna L. s.n.c. ed i soci signori L G e R al pagamento in favore dell’attore sig.C della somma di €26.000,00, oltre ad interessi e rivalutazione dalla data del versamento al saldo effettivo;

2. Condanna la convenuta Immobiliare Srl, …, al versamento in favore dell’attore sig.C dell’importo pari ad €3.600,00 oltre ad interessi e rivalutazione dal 1 aprile 2010 al saldo effettivo;

3. condanna parte convenuta L. snc al pagamento in favore del sig.C della somma di €2.500,00 a titolo di responsabilità ex art.96 c.p.c. della somma di €2.500,00;

4. Condanna altresì le parti convenute tutte in solido fra loro e nella misura del 50% nei rapporti interni a rimborsare alla parte attrice sig.C le spese di lite, che si liquidano in €382,00 per spese ed € 5.000,00 per compensi, oltre a 15% per spese generali, ed oltre a i.v.a. e c.p.a. se dovute come per legge.

Monza, 28 marzo 2014

Il Giudice dott. C