Cassazione Civile Sezione VI° n. 25179 del 08/11/2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SEGRETO Antonio – Presidente – Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere – Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere – Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere – Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere – ha pronunciato la seguente:

sentenzasul ricorso 20966-2011 proposto da: B.M.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA, presso lo studio dell’avvocato T G, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato P R giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente – contro
MINISTERO … (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3662/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA del 29/07/2010, depositata il 20/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. R L;

udito l’Avvocato T G difensore della ricorrente che si riporta al ricorso;

udito l’Avvocato G D (Avvocatura) difensore del controricorrente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. P P che ha concluso per rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
B.M.P. ha ottenuto dal Tribunale di Roma decreto ingiuntivo recante condanna del Ministero — a pagare la somma di Euro 36.237,43, quale compenso ad essa spettante per avere svolto attività di CTU nella causa promossa dal Ministero contro T.A. e la s.r.l. M T. A fondamento della domanda ha posto, quale prova del credito, decreto 9 luglio 2001 con cui il G.I. le ha liquidato il suddetto compenso, ponendone il pagamento provvisoriamente a carico dei soli T. e M T, rimasti inadempienti, e la sentenza n. 342/2002 del Tribunale di Montepulciano che, a conclusione del giudizio di primo grado, ha posto le spese processuali a carico del Ministero. L’ingiunto ha proposto opposizione, assumendo che a fondamento del suo credito la B. poteva avvalersi del solo provvedimento del G.I. di liquidazione del compenso; non invece della sentenza del Tribunale di Montepulciano perchè – non essendo essa CTU parte della causa – non poteva invocarne in suo favore gli effetti. Il Tribunale ha accolto l’opposizione, con sentenza che la Corte di appello ha confermato, facendo proprie le ragioni dell’opponente. La B. ha proposto tre motivi di ricorso per cassazione, a cui ha resistito il Ministero con controricorso. E’ stata depositata in Cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ., con cui il cons. relatore ha proposto l’accoglimento del ricorso con ordinanza in Camera di consiglio. La relazione è stata comunicata alle parti ed al pubblico ministero. Il resistente ha depositato memori. La Corte di cassazione, riunita in Camera di consiglio, ha disposto il rinvio della causa alla pubblica udienza. Il Ministero ha depositato altra memoria.

Motivi della Decisione
1.- La sentenza impugnata ha ritenuto che la B., per ottenere il pagamento delle sue spettanze, avrebbe dovuto azionare non la sentenza emessa fra le arti, ma il decreto di liquidazione dei compensi, poichè la regolazione giudiziale delle spese, ivi incluse quelle di CTU, si concreta in una statuizione che ha come destinatane solo le parti del processo e non può esplicare alcun effetto nei confronti di un soggetto estraneo al giudizio qual è il CTU, nella sua veste di ausiliario del giudice. La B., pertanto, non aveva alcun titolo per fondare sulla sentenza la domanda di pagamento proposta contro il Ministero.

2.-Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., D.P.R. 50 maggio 2002, n. 115, artt. 168 e 171, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, la ricorrente assume per contro che i due documenti (decreto e sentenza), congiuntamente considerati, valgono a giustificare la sua domanda, in quanto il primo ha quantificato l’entità del compenso che le spetta, ponendolo provvisoriamente a carico delle parti convenute; il secondo, cioè la sentenza, ponendo tutte le spese processuali a carico del Ministero, le ha conferito il diritto di agire con ordinaria azione di cognizione anche contro quest’ultimo. Richiama i principi per cui il provvedimento di liquidazione delle spese al CTU, “oltre a produrre i propri effetti nei confronti delle parti opponenti e del consulente tecnico di ufficio, dispiega effetti anche nei confronti di tutte le altre parti del giudizio nel quale è stato espletato l’incarico peritale in quanto ognuna può essere potenzialmente gravata secondo il regolamento delle spese da adottare con la pronuncia conclusiva, ai sensi degli arti. 91 e ss. del codice di rito” (Cass. civ. 28 giugno 2004 n. 22111, in motivazione). Richiama altresì il principio per cui l’obbligazione avente ad oggetto il pagamento delle spese di CTU grava solidalmente su tutte le parti del giudizio, contro le quali il CTU può agire indifferentemente, qualora il suo diritto sia rimasto insoddisfatto (Cass. civ. 15 settembre 2008 n. 23586). Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè vizi di motivazione, nel capo in cui la Corte di appello le ha addebitato di avere fondato la sua pretesa esclusivamente sulla sentenza, relativa ad un giudizio di cui non era parte. Fa notare ancora una volta che essa ha chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo anche sulla base del decreto provvisorio di liquidazione del compenso. Con il terzo motivo lamenta violazione delle norme sull’interpretazione degli atti di parte (artt. 1362 c.c. e ss.) ed ancora vizi di motivazione, nella parte in cui la Corte di appello le ha addebitato l’indebita duplicazione dei titoli sulla base dei quali ha azionato la sua domanda di pagamento.

2.- Deve essere preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal resistente in relazione all’omessa formulazione dei quesiti sui vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 366bis cod. proc. civ.. L’art. 366bis è stato soppresso ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, con disposizione applicabile ai ricorsi proposti contro provvedimenti depositati successivamente alla data dell’entrata in vigore della legge stessa (cioè a decorrere dal 4 luglio 2009: cfr. L. n. 69 del 2009, artt. 47 e 58, cit). La sentenza impugnata è stata depositata il 20 settembre 2010, quindi alcun quesito doveva essere formulato a pena di inammissibilità.

3.- Quanto al merito del ricorso, il resistente incentra le sue difese sulla circostanza che la sentenza del Tribunale di Montepulciano che lo ha condannato al pagamento delle spese processuali, è stata annullata dalla Corte di cassazione e sostituita da altra sentenza in sede di rinvio, che ha definitivamente accolto le sue ragioni, condannando le controparti al pagamento delle spese processuali. Assume che l’accoglimento del ricorso della B. verrebbe a configgere con il giudicato così formatosi e con il principio per cui le spese processuali gravano sulla parte soccombente, e che sul punto si sarebbe creato un contrasto di giurisprudenza fra le sentenze di questa Corte 2 marzo 1994 n. 1022; 4 marzo 2000 n. 2481 ed altre – secondo cui il CTU al quale siano stati liquidati i compensi non può avvalersi delle azioni ordinarie per far valere giudizialmente il suo diritto al pagamento se non in via sussidiaria, cioè in mancanza di ogni provvedimento di liquidazione – e le sentenze 8 luglio 1996 n. 6199, 15 settembre 2008 n. 23586 ed altre, che invece avrebbero deciso il contrario.

4.- I motivi di ricorso sono parzialmente fondati, nei termini che seguono. Va premesso che nella specie si pongono e si sovrappongono fra loro due questioni che è opportuno tenere distinte e cioè: a) il problema di accertare se il CTU possa far valere il suo diritto al pagamento esclusivamente sulla base del decreto di liquidazione di cui alla L. n. 319 del 1080, art. 11 cit, restandogli preclusa ogni altra azione, ed in particolare ogni azione ordinaria di cognizione fondata su provvedimenti diversi, quali le sentenze emesse nel giudizio nel quale il CTU ebbe a prestare la sua opera; b) il problema di accertare se ed entro che limiti il CTU possa far valere la responsabilità solidale delle parti nei suoi confronti, quindi possa agire per il pagamento anche nei confronti della parte vittoriosa, nonostante ogni diversa disposizione del giudice in ordine alla ripartizione fra le parti delle spese processuali. Le sentenze di questa Corte 2 marzo 1994 n. 1022 e 4 marzo 2000 n. 2481 hanno affrontato solo, e parzialmente, il problema sub a), risolvendolo nel senso che le azioni ordinarie possono essere proposte dal CTU solo in via sussidiaria, cioè solo nei casi in cui non sia stato emesso alcun decreto di liquidazione dei compensi. (Non si precisa fino a quando perduri l’effetto preclusivo).

A questo principio si sono uniformate le sentenze emesse nei due gradi di merito del presente giudizio.

La giurisprudenza più recente ha affrontato invece specificamente solo il secondo problema. Ha cioè stabilito che in ogni caso le parti sono solidalmente tenute al pagamento delle spese di CTU, nonostante ogni diversa disposizione della sentenza – pur se passata in giudicato – che, risolvendo la controversia, abbia posto le spese processuali, ivi incluse quelle di CTU, a carico di una sola parte (cfr. Cass. civ. Sez. 1, 8 luglio 1996 n. 6199; Cass. civ. Sez. 1, 7 dicembre 2004 n. 22962; Cass. civ. Sez. 2, 15 settembre 2008 n. 23586): “… la consulenza tecnica d’ufficio è strutturata, essenzialmente, quale ausilio fornito al giudice….., piuttosto che quale mezzo di prova in senso proprio e, così, costituisce un atto necessario del processo che l’ausiliare compie nell’interesse generale superiore della giustizia e, correlativamente, nell’interesse comune delle parti. Da tale intrinseca natura dell’istituto, ed in particolare, dal dato che la prestazione dell’ausiliare è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti…….che, cosi, assorbe e trascende quello proprio e particolare……discende… che il regime sull’onere delle spese sostenute dal consulente tecnico per l’espletamento dell’incarico e sull’obbligo del relativo pagamento, deve prescindere sia dalla disciplina sul riparto dell’onere delle spese tra le parti che dal regolamento finale delle spese tra le stesse, che deve avvenire sulla base del principio della soccombenza; ma, soprattutto, che l’obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito per il compenso deve gravare su tutte le parti del giudizio, ed in solido tra loro” (Cass. civ. n. 6199/1996, in motivazione. Conf. Cass. civ. n. 23586/2008 cit.).

Premesso quanto sopra se ne è dedotto che “la sussistenza della obbligazione solidale prescinde sia dalla pendenza del giudizio nel quale la prestazione dell’ausiliare è stata effettuata; sia dal paradigma procedimentale utilizzato dall’ausiliare al fine di ottenere un provvedimento di condanna al pagamento del compenso spettantegli. Per un verso, perchè siffatto regime processuale è indissolubilmente connesso alla natura di credito vantato dal consulente ed alla comunanza della posizione debitoria delle parti suoi confronti. Per altro verso, perchè non si individua alcuna ragione per cui siffatta posizione debitoria (che, come s’è detto, è ontologicamente connessa alla natura del credito) debba rimanere travolta e caducata per effetto o della cessazione della pendenza del giudizio nel quale la prestazione è stata effettuata ed è sorto il credito, ovvero dell’utilizzazione da parte del consulente – creditore ed ai fini del riconoscimento del suo diritto, di un rimedio processuale esterno rispetto al giudizio nel quale la prestazione è avvenuta”.

Ha soggiunto che “al consulente d’ufficio non e opponibile la pronuncia sulle spese contenuta nella sentenza che abbia definito il giudizio nel quale aveva esercitato la sua funzione, perchè il principio della soccombenza attiene soltanto al rapporto tra le parti e non opera nei confronti dell’ausiliare; le parti di quel giudizio sono obbligate, in solido, nei confronti dell’ausiliare al pagamento del suo compenso; e, per ottenere detto pagamento, l’ausiliare può anche far ricorso al procedimento monitorio ex art. 633 c.p.c. e, addirittura, può adire il giudice civile con una domanda autonoma ed indipendente dal processo in cui ha espletato l’incarico”: così si esprime Cass. n. 6199/1996, citando come precedenti Cass. 2 febbraio 1994 n. 1022, Cass. 2 marzo 1973 n. 573 e Cass. 9 febbraio 1963 n. 245). Ad essa si è uniformata Cass. n. 23586/2008, cit, la quale ha anche specificato che il CTU può agire per il pagamento in via ordinaria non solo nei casi in cui sia mancato un provvedimento giudiziale di liquidazione, ma anche quando il decreto emesso a carico di una parte sia rimasto inadempiuto.

Quest’ultimo principio si riverbera sulla soluzione della prima questione qui prospettata, poichè afferma la proponibilità dell’azione ordinaria di cognizione, in aggiunta all’azione esecutiva fondata sul provvedimento di liquidazione; ma pone al concorso fra le azioni un limite espresso: cioè che il decreto di liquidazione sia rimasto inadempiuto da parte del soggetto ivi indicato come obbligato al pagamento.

2.2.- La considerazione complessiva della citata giurisprudenza non manifesta quindi un contrasto di principi tale da richiedere la rimessione della questione alle Sezioni unite. Ed invero, se il principio fondamentale è quello per cui le parti sono solidalmente responsabili del pagamento delle competenze del CTU anche dopo che la controversia in relazione alla quale il consulente ha prestato la sua opera sia stata decisa con sentenza passata in giudicato, indipendentemente dalla ripartizione in sentenza dell’onere delle spese processuali, non v’è alcuna ragione di escludere una tale responsabilità solidale a fronte di un sentenza non passata in giudicato, ma che tuttavia contenga un comando diverso da quello di cui al decreto di liquidazione delle spese. Il decreto di liquidazione di cui alla L. n. 319 del 1980, art. 11 ha e conserva efficacia esecutiva nei confronti della parte ivi indicata come obbligata e – finchè la controversia non sia risolta con sentenza passata in giudicato, che provveda definitivamente anche in ordine alle spese – ha l’effetto di obbligare il CTU a proporre preventivamente la sua domanda nei confronti della parte ivi indicata come provvisoriamente obbligata al pagamento e solo nel caso di sua inadampienza può agire nei confronti dell’altra, in forza della responsabilità solidale che, in linea di principio, grava su tutte le parti del processo per il pagamento delle spese di CTU e che perdura anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo, anche indipendentemente dalla definitiva ripartizione fra le parti dell’onere delle spese (Cass. civ. n. 6199/1996; n. 22962/2004 e n. 23586/2008, cit). Va soggiunto che i principi sopra indicati non confliggono con la regola per cui la parte vittoriosa non può essere condannata al pagamento delle spese, come assume il resistente. Resta fermo infatti il diritto della parte vittoriosa che abbia pagato le spese di CTU di rivalersi nei confronti del soccombente, conformemente alla pronuncia giudiziale sulle spese. La responsabilità solidale non influisce, com’è noto, sulla titolarità del debito e sulla misura in cui ogni singolo debitore è tenuto ad adempiere, sulla base dei rapporti interni con i condebitori; solo esclude che l’onere dell’insolvenza di alcuno di essi venga a gravare sul creditore. (Cfr. infatti Cass. civ. Sez. 1, 16 marzo 2007 n. 6301 e Sez. 2, 21 giugno 2010 n. 14925, per cui “Viola l’art. 91 cod. proc. civ. la disposizione del giudice che pone parzialmente a carico della parte totalmente vittoriosa il compenso liquidato a favore del C. T. U. perchè neppure in parte essa deve sopportare le spese di causa”, principio che riguarda per l’appunto il caso in cui la parte vittoriosa venga condannata al pagamento delle spese di CTU in via diretta e definitiva, senza diritto di regresso nei confronti del soccombente).

3.- In sintesi, la Corte di appello si è discostata da questi principi, perchè ha ritenuto improponibile l’azione ordinaria di cognizione, in aggiunta all’azione esecutiva, senza avere previamente accertato l’inadempimento della parte obbligata al pagamento sulla base del decreto di liquidazione, sebbene la ricorrente abbia espressamente menzionato nel ricorso tale circostanza. La sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinchè decida la controversia uniformandosi ai principi sopra enunciati, in forza dei quali è da ritenere che la ricorrente ben poteva proporre la sua domanda di pagamento del compenso nei confronti del Ministero dell’Agricoltura, con ordinaria azione di cognizione, in aggiunta all’azione esecutiva proponibile contro le altre parti in forza del decreto del GI di liquidazione dei compensi, sempre che l’appellante abbia ritualmente dedotto e dimostrato in giudizio l’inadempienza delle parti obbligate.

4.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2013