Danni in materia civile e penale – persone fisiche e giuridiche – diritti della personalità (alla riservatezza) – prova in genere – onere della prova (inversione)- = Cassazione Civile Sez. I°, Sentenza N. 2306 del 05/02/2016 = La 1° sezione della Corte di cassazione ha disposto che “L’art. 2050 c.c., richiamato dall’art. 15 del D.Lgs. n. 196 del 2003 (Codice della privacy) prevede un’inversione dell’onere della prova a carico dell’autore del danno, tenuto a dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo. La presunzione iuris tantum riguarda l’elemento psicologico della colpa, ma non il fatto illecito, né il nesso eziologico fra fatto ed evento che devono, invero, essere provati dai danneggiati. “

 

TESTO INTEGRALE: Cassazione Civile Sez. I°, Sentenza N. 2306 del 05/02/2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BERNABAI Renato – rel. Presidente – Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere – Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere – Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere – Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere – ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28231/2009 proposto da:

C.S. (c.f.), N.L. (c.f. ), in proprio e nella qualità di eredi di C. A., e B.C.F. (c.f. ), nella qualità di erede di CH.AL., elettivamente domiciliati in , presso l’avvocato M D, che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

U– BANCA di __ S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, , presso l’avvocato P F, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 21637/2008 del Tribunale di Roma, depositata il 04/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/12/2015 dal Consigliere Dott. R B;

udito, per i ricorrente, l’Avvocato D. M. che si riporta;

udito, per la controricorrente U___, l’Avvocato F. P. che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D C S, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi ed ordinarsi cancellazione espressioni sconvenienti a pag. 10, 4^ capoverso, ultima parte e pag.24 del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza 4 novembre 2008 il Tribunale di Roma rigettava il ricorso presentato dai sigg. C.S. e N.L., in proprio e quali eredi di C.A., e C.B. F., quale erede di Ch.Al., per ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, da illegittima comunicazione, da parte della Banca di R. – più tardi, U— s.p.a. – di dati riservati, riguardanti il conto corrente bancario cointestato ai sigg. C.A., C.S. e N.L.: la cui documentazione era stata prodotta dalla sig.ra B.M.R. nel processo da lei promosso nei confronti dei genitori Bo.Al. e N.L. per ottenere un assegno alimentare.

Motivava che la domanda era risultata sprovvista di prova della responsabilità dell’istituto bancario nella fuga di notizie, così come del danno conseguitone ai titolari del conto.

Avverso la sentenza, non notificata, i sigg. C., N. e C.B. proponevano ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, notificato il 18 dicembre 2009 ed ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Deducevano:

1). la violazione degli artt. 1375 e 2697 c.c., e D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 11 e 23, (Codice in materia di protezione dei dati personali), nonchè la carenza di motivazione nell’esclusione della colpa della banca per la fuoriuscita dei documenti;

2). la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, e dell’art. 2050 c.c., nel porre a carico degli attori la prova della responsabilità del titolare del trattamento dei dati personali;

3). la violazione degli artt. 2 e 3 Cost., nonchè del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11 e 15, e degli artt. 1226, 2056, 2059 e 2697, ed inoltre la carenza di motivazione nella mancata liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale;

4). la violazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 1, per l’eccessività delle spese di lite poste a carico dei soccombenti.

Resisteva con controricorso, l’U— Banca di R. S.p.A..

Il Garante per la Protezione dei Dati Personali, chiamato in causa e contumace nel giudizio di primo grado, depositava atto di costituzione, senza controricorso.

All’udienza del 9 dicembre 2015 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Il primo motivo è infondato.

Secondo i ricorrenti, una volta accertato che la documentazione riservata proveniva dall’istituto di credito, sarebbe stata raggiunta la prova, in re ipsa, dell’elemento soggettivo della sua responsabilità.

L’argomento non ha pregio, giacchè occorreva anche la dimostrazione che la essa fosse stata consegnata a persone diverse dagli aventi diritto: con esclusione, quindi, della possibilità che l’acquisizione illegittima, da parte di terzi, non fosse avvenuta, invece, in una fase temporale successiva e al di fuori della sfera di controllo della banca.

Nel contesto del motivo in esame i ricorrenti lamentano altresì la mancata ammissione dei mezzi di prova dedotti.

La doglianza è peraltro inammissibile, sia perchè non trasfusa in uno specifico quesito di diritto – pur se all’interno di un motivo dedicato ad una diversa specifica violazione di legge – sia perchè tali mezzi istruttori sembrano ridursi all’acquisizione di informazioni, ex art. 213 c.p.c., circa il giudizio pendente tra la sig.ra N. e la figlia, nel cui ambito era avvenuta la produzione della documentazione riservata: come tale, priva del necessario requisito di decisività nell’ambito del thema probandum sopra delineato.

Per il resto, la censura si risolve in una difforme valutazione degli elementi di fatto, avente natura di merito, che non può trovare ingresso in sede di legittimità.

Anche il secondo motivo è infondato.

L’art. 2050 c.c., (Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose), richiamato dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 15, prevede un’inversione dell’onere della prova a carico dell’autore del danno, tenuto a dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo. La presunzione juris tantum riguarda, peraltro, l’elemento psicologico della colpa; non certo, dei fatto illecito, nè del nesso eziologico tra fatto ed evento, che devono essere, invece, puntualmente provati dai danneggiati.

Nella specie, i ricorrenti erroneamente ritengono che sia sufficiente il possesso del documento da parte di un terzo per esonerarli da qualsiasi altro onere probatorio.

Al contrario, spettava ad essi la prova, non assolta, del fatto generatore del possesso altrui, che in astratto poteva dipendere da comportamento estraneo alla banca: tenuto anche conto dello stretto rapporto di parentela tra la sig.ra N. e la sua controparte nel giudizio in cui la documentazione era stata prodotta.

La presente statuizione in diritto non collide, pertanto, con quanto enunciato in un recente arresto di questa Corte (Cass. sez. 1^, 7 Ottobre 2015 n. 20106): in cui risultava positivamente accertato, per contro, che l’accesso ai dati bancari, da parte di un dipendente dell’istituto di credito, non era stato autorizzato dal titolare del conto.

Resta assorbito il terzo motivo, con cui si censura la mancata liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale.

E’ invece fondato l’ultimo motivo, concernente l’eccessività delle spese di lite poste a carico dei soccombenti.

Il Tribunale di Roma ha liquidato, senza alcuna motivazione, in Euro 25.000 le spese di giudizio poste a carico degli attori, di cui Euro 18.000 per onorari: oltre il limite massimo della tabella vigente, relativamente allo scaglione corrispondente al valore della causa (Euro 500.000).

La sentenza deve essere quindi annullata sul punto e, in difetto della necessità di nuovi mezzi istruttori, si può procedere alla sua riforma, liquidando, a titolo di spese processuali per il grado di merito, la somma di Euro 12.500, di cui Euro 300,00 per spese ed Euro 10.000,00 per onorari.

Il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione delle spese della fase di legittimità.

P.Q.M.

– Rigetta i primi due motivi dei ricorso, assorbito il terzo;

– accoglie il quarto motivo, cassa la sentenza in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell’U— s.p.a., a titolo di rifusione delle spese de primo grado, la somma di Euro 12.500,00, di cui Euro 10.000,00 per compenso ed Euro 500,00 per spese, oltre le spese forfettarie e gli accessori di legge;

– compensa le spese della presente fase di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2016

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